Facciamo bene a fare la Nutrizione Artificiale?



In molti casi non c'è dubbio.
Sono i pazienti che hanno una patologia che si apre ad una guarigione che magari non è sicura (cosa c'è di sicuro nella nostra vita?), ma è molto probabile. Per questi pazienti nutrire bene vuol dire stare meglio e guarire più presto. Tante volte la guarigione diventa impossibile se non si nutre adeguatamente il paziente, come in certi pazienti con tumori che non potrebbero essere curati se il paziente permane in condizioni nutrizionali inedeguate.
In altri casi c'è un dubbio.
E' giusto far vivere pazienti che sono destinati a morire?
In realtà tutti gli umani sono destinati a morire, per cui la domanda va posta in altro modo: è giusto far vivere pazienti per i quali si prevede una sopravvivenza breve?


E' giusto far vivere pazienti per i quali se la sopravvivenza è breve?



Val la pena vivere un giorno di più? Un giorno in più potrebbe valere una vita intera, ma lasciamo perdere la filosofia, siamo pratici. Se siamo pratici dobbiamo dire allora che vivere un giorno in più è sicuramente bene. Tutto dipende dal costo. Se per vivere un giorno in più devo soffrire come una bestia allora potrei dure che non ne vale la pena.
In pratica bisogna valutare la qualità della vita che si viene a prolungare.
Quando questa valutazione è affidata al soggetto cui si deve prolungare l'esistenza la risposta, possimo dire, è sempre positiva. "Cari signori io preferisco vivere". Per carità, c'è stato qualcuno che ha detto anche "uccidetemi", ma sono molto pochi, anzi pochissimi e su di loro aleggia il sospetto che la loro disperazione confinasse con la follia. Questi casi purtroppo fanno notizia e la notizia viene raccolta da tutti i giornali e telegiornali. Finalmente qualcosa di curioso da pubblicare: in un mondo di gente che si appende alla vita con le unghie e con i denti ecco uno che ha il coraggio di gettare la spugna. Per carità, non lo invidia nessuno, ma certo fa notizia. In un mondo di persone schiave del loro telefonino ecco uno che lo scaglia fuori dalla finestra!
Il problema è che nella stragrande maggioranza dei casi questa scelta è affidata ad altre persone differenti dal soggetto che deve vivere o morire. E questo rende le cose più complicate.


Accanimento terapeutico?



Non è lecito parlare di accanimento per quel che riguarda la Nutrizione Artificiale:

a) Le tecniche di Nutrizione Artificiale non comportano dolore per il paziente. Una piccola sonda nel naso. Un piercing sulla pancia. Un catetere sul collo. Tutte cose che si introducono senza un dolore superiore a quello di un clistere. E poi il sondino nel naso permette di evitare le flebo, permette di somministrare liquidi e medicine senza che il paziente se ne accorga. Non si tratta di fare interventi chirurgici, anestesie, farmaci aggressivi. Parlare di accanimento non è possibile.

b) Vogliamo dire allora che l'accanimento è nel mantenere una vita che comporta dolore e insopportabili sofferenze? Può essere, ma il dolore, specialmente in un paziente semicosciente o del tutto incosciente non può essere un dolore spirituale, può essere un dolore fisico che ha sempre dei riscontri oggettivi ben precisi, contorsioni, lamenti, lineamenti disperati. E anche qui il dolore ha delle possibilità terapeutiche ben precise, analgesici, morfina, anestetici locali. Non si può contrabbandare per atrocemente sofferente un paziente che sta lì buono buono e non sta facendo un filo di terapia analgesica. La sofferenza è nostra, nel vedere una persona cara che viene meno a tutto quello che noi speravamo per lei. E' il dolore del padre della Englaro che aveva una splendida figlia sulla quale aveva investito tutte le sue speranze e poi, in un attimo, si è ritrovato con un rottame senza alcuna speranza. Ma qui stiamo facendo solo confusione.


Ma questa è vita?



C'è la vita oppure c'è la morte. Questa non morte sicuramente e allora è vita. Non è una vita decente? Ma in che consiste una vita decente? Tanta gente che si vede girare per il momdo fa una vita che ad altri non sembra una vita decente. E neanche a loro sembra una vita decente. Ma questo non vuol dire nulla. E poi chi siamo noi per giudicare il tipo di vita che fa un altro uomo? Se proprio vogliamo cercare una soluzione ufficiale al problema allora dobbiamo vedere la cosa in modo nudo e crudo. Quello che noi dobbiamo emettere è una vera e propria condanna a morte. Allora ci vuole un giudice. Facciamo un bel giudice della vita, un distinto signore con tanto di toga e parrucca che batte un martello e dice: "che muoia!" Quali parametri userà? E chi lo sa? Certo il diritto non descrive questi scenari. Ci vuole una persona coraggiosa che ci metterà fantasia. Magari deciderà che se non si alto, bello e con gli occhi azzurri, non hai diritto di vivere. In passato certi giudici hanno massacrato milioni di ebrei.

Bisogna portare la documentazione di esami o eventuali precedenti ricoveri in modo che il paziente possa essere valutato accuratamente.


E allora?



E allora vi raccontiamo una storiella. Una signora certamente anziana telefona all'ANAD. "Aiuto! Il mio bambino non riesce più ad ingoiare, dimagrisce a vista d'occhio. Sta male". Questi pazienti sono a grande rischio in quanto i tentativi di nutrirli per via naturale possono portare a broncopolmoniti mortali. Lo porti subito! Il bambino della signora aveva 54 anni. Era semiincosciente per un danno ischemico subito alla nascita. La povera donna aveva dedicato tutta la sua vita al suo sfortunato figliolo. Il marito era morto. Non aveva altri figli. Il suo cruccio era "chi penserà al mio bambino, quando io dovrò morire?" Lei sapeva che questi poveri pazienti vivono nutrendosi di quell'amore disperato che la povera donna gli aveva regalato per tutta la sua vita. Non potrebbero sopravvivere nel miglior ospedale del mondo. Ci vuole qualcuno che li ami.


Ma questo è amore?



Voi volete dire che è un amore malato? Che la disgraziata si era divertita per tanti anni a seviziare il povero figlio che non poteva reagire? Che avrebbe dovuto accopparlo subito o almeno lasciarlo morire, punto e basta? Ma chi avrebbe il coraggio di dire alla donna una cosa del genere? Secondo voi dovreste dirle anche che ha semplicemente buttato tutta la sua vita di donna per sacrificarla per quell'essere inutile che adesso ha raggiunto inutilmente l'età di 54 anni?

Ma voi pensate davvero che la vita di quella donna sia stata una vita inutile? Potrebbe esserci qualcuno che potrebbe dire che è stata una mamma fortunata. O Dio mio! Che eresia! Tante mamme hanno un figlio e lo amano e lo fanno crescere con il loro amore e poi questo figlio conosce un'altra donna e va via e non lo vedi più. Un figlio lo ami e amare vuo dire dare, dare tutto quello che puoi. Ma non puoi dare tutto quello che vorresti perchè se no tu lo vizi, il figliolo. Devi amare, ma devi anche correggere, limitare, educare. Il figlio di quella signora non l'ha mai lasciata e non ha avuto la necessità di educazione di sorta. Quei figli sono come pozzi senza fondo dove puoi buttare tutto l'amore che vuoi. E più ne butti e più il tuo amore si ingigantisce. Abbiamo visto pazienti del genere, affidati per venti anni all'amore e alla compassione di un'intera famiglia che alla fine ha finito per girare interamente intorno a loro. Niente vacanze, niente svaghi, perfino niente pensieri che non fossero per lui. E poi il paziente e morto e qualche imbecille potrebbe pensare che tutta la famiglia all'unisono ha fatto un sospiro di sollievo. Abbiamo fatto quello che era giusto fare, molto bene, adesso ce ne andiamo in vacanza. E invece no. Mai si è visto dolore più sconfinato e profondo. Semplicemente, la loro vita, la vita di tutta la famiglia aveva perso l'unico punto di riferimento. In realtà amare è una cosa molto più semplice di quello che si può pensare. Amare è dare, dare volontariamente, regalare se stessi. E se vuoi sapere quanto ami una persona basta che misuri quello che gli hai dato fino ad oggi. Quella famiglia aveva ragalato, volontariamente, 20 anni della propria vita. Amavano a dismisura e la rottura di un legame rinsaldato da un amore così poderoso non si può descrivere se non con il dolore più incredibile.


Ma è giusto allocare su questi pazienti le magre risorse dello Stato?



Ed ecco che davanti al povero paziente che noi facciamo sopravvivere si presenta una altro paziente. Questo è più giovane, ma poi ha una malattia che si può guarire. Questo paziente ha una avvenire. E invece no. Questo paziente non ha più un avvenire in quanto le risorse che sarebbero necessarie per la sua guarigione noi le spendiamo per far vivere l'altro paziente. E' giusto tutto questo?
Questo è un discorso che sembra intelligente, ma è solamente ridicolo. Intanto i soldi dello Stato necessari per far vivere il nostro paziente sono sempre molto pochi. Ma se anche si potesse, con la stessa somma, far vivere e guarire qualcuno, noi non abbiamo il diritto di scegliere chi far vivere. Con la stessa somma che noi usiamo per il nostro paziente e che potremmo forse usare per far guarire l'altro paziente, potremmo far vivere cinquanta persone del terzo mondo. Non sono queste le considerazioni che dobbiamo fare. Dobbiamo batterci per far vivere tutti, il moribondo, il paziente guaribile e i cinquanta del terzo mondo. Quello che fa vivere tutti questi bisognosi è il diritto alla vita che noi dobbiamo difendere per tutti gli esseri umani. E non possiamo difendere la vita di uno uccidendo un altro.